La “ruggine” non dorme mai…

Cosa succede agli abeti rossi del Parco?

Da qualche settimana, i nostri boschi di abete rosso sopra una certa quota hanno assunto un aspetto piuttosto inusuale.

La vista a distanza colpisce per la tonalità di colore giallastro in contrasto al verde cupo che solitamente li contraddistingue e non è difficile, anche all’occhio meno esperto, scoprire che qualcosa non va.

Visti da vicino gli abeti rossi mostrano la parte terminale dei rami di colore giallo e il loro aspetto è tutt’altro che salutare.

L’area altitudinale più colpita è quella in cui l’abete convive con il rododendro, quindi nelle nostre valli oltre i 1500-1600 m di quota anche se localmente anche più in basso.

Il perché di questo connubio è suggerito dal nome scientifico della malattia che è causa di questo fenomeno: Chrysomyxa ledi var. rhododendri (de Bary) Savile, chiamata più semplicemente Ruggine dell’abete oppure: Agente della ruggine vescicolosa dell’abete.

Un fungo che svolge il suo ciclo tra il rododendro e l’abete, ed è proprio su quest’ultimo che attacca gli aghi più giovani e nel suo svilupparsi li fa ingiallire e quindi morire.

Gli aghi presentano delle caratteristiche fruttificazioni, delle piccolissime escrescenze bianche o rosate dalle quali escono le spore.

Una presenza assolutamente normale nei nostri boschi di conifere, che alle volte più, alle volte meno, imperversa. Questa stagione estiva , porta evidentemente con se alcune caratteristiche di temperatura ed umidità che avvantaggia lo sviluppo della ruggine, e la sua diffusione oltre i normali standard è ben evidente.

Non solo è evidente a livello forestale, ma nei giorni scorsi, raggiunta la maturità delle spore e complice qualche colpo di vento in più, si sono disperse in quantità inusuale colorando di giallo oro i laghi e le pozze. Diverse segnalazioni sono arrivate dal lago di Calaita, da quello di Fortebuso ed altri ancora da tutto il parco ed il Trentino. L’effetto è stato del tutto simile alla dispersione dei pollini di abete negli anni di grande fioritura, ma non è questo il caso.

Difficilmente questa malattia danneggia gravemente le piante, riduce certamente l’accrescimento dell’anno ma le conseguenze sono minimali.

Le condizioni meteorologiche sono quindi determinanti nel favorire l’una o l’altra “malattia”.

Lo scorso anno, piovoso come pochi, toccò al frassino che ad agosto perse completamente le foglie, facendo preludere ad un autunno anticipato. Si trattava invece di un altro fungo, la Chalara fraxinea, L’Agente del deperimento del frassino, che in breve spogliò quasi per intero i boschi di questa specie.

Una malattia arrivata dalla Polonia, segnalata in provincia di Trento per la prima volta nel 2012 e che ha già intaccato buona parte delle foreste del nord Europa.

Gli effetti di questo fungo sono ben più gravi della ruggine. Lesioni, cancri e necrosi intaccano la corteccia ed i tessuti sottostanti, le piante giovani muoiono con facilità, e quelle adulte disseccano i rami terminali, che ora, a distanza di un anno, formano un vistosa corona, priva di foglie, che spunta dalla chioma.

“Le ricerche hanno provato che le piante si comportano come esseri intelligenti”.

Lo dice Stefano Mancuso, del dipartimento di ortoflorofrutticoltura dell’Università di Firenze, autore di un libro che si intitola Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale.

Una prova di “intelligenza vegetale”, del resto, è il comportamento in caso di difficoltà. Le piante agiscono infatti con lo stesso sistema prova-errore degli animali: davanti a un problema procedono per tentativi fino a trovare la soluzione ottimale di cui, poi, si ricordano quando si presenta una situazione simile.

Vedremo quindi come sapranno adattarsi alle nuove minacce che sempre più frequentemente mettono alla prova l’intelligenza di questi organismi che si dimostrano sempre più raffinati.

Maurizio Salvadori (Guardiaparco)

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